Il mito di “maestro mapacho”

IL TABACCO COME PANACEA

Dopo la colonizzazione delle Americhe il tabacco si diffuse anche in Europa come una sorta di panacea. Ciò si doveva principalmente all’impressione che i nativi del Nuovo Mondo, che attribuivano al tabacco un enorme valore spirituale, sociale e medicinale, ebbero sui i marinai Spagnoli e di conseguenza sugli erboristi Europei.

I medici del XV e il XVI secolo utilizzavano ampiamente il tabacco come cura del raffreddore comune per via delle presunte proprietà “calde” e “secche” del fumo, una cosa paradossale considerando che secchezza ed infiammazione sono tutt’altro che utili in questo caso come in generale. Col termine latino “Caput pungia” si identificavano fumigazioni ed irrigazioni nasali volte a provocare degli starnuti col risultato di “pulire la testa”. Infine si adoperava come purgante gastrico ed emetico, quest’ultima applicazione è sicuramente valida ma poco ragionevole tenendo conto della tossicità della pianta e dell’esistenza di tante altre alternative più sicure.

Ovviamente ormai sono tutte pratiche obsolete nella medicina moderna, la nicotina si impiega esclusivamente nel trattamento della dipendenza dalla stessa anche se c’è da dire che il filone di ricerca relativo a malattie neurodegenerative, disturbi cognitivi e dolore acuto è molto promettente seppur ancora in fase preliminare.

Tuttavia, seguendo l’esportazione dell’ayahuasca e della medicina Amazzonica in Occidente, il mito del tabacco è tornato in auge più forte che mai.

Mi è capitato di sentire diversi entusiasti che con convinzione mi spiegavano come avessero espulso un tumore grazie al tabacco, di come sia la piantà “più sacra e benefica”, di come apra i canali spirituali, etc. etc.

Ora come allora è l’ignoranza e l’impressionabilità superficiale del viaggiatore occidentale che va a scoprire nuove culture fermandosi alle prime luci luccicanti ad alimentare questo processo di disinformazione alle volte anche molto pericoloso. Tra la Caput Pungia e il Soplo, ovvero la fumigazione terapeutica diretta di un tumore o un altra affezione praticata dagli sciamani in Sud America, non c’è tanta differenza alla fine. Eppure ancora oggi dei privilegiati che hanno avuto la possibilità di ingrassare, annoiarsi, leggere, viaggiare, etc. confluiscono nei centri di cura Sudamericani per sottoporsi a queste pratiche “miracolose” ritenute “pure” rispetto alla medicina evoluta della loro cultura. Sia ben chiaro che la mia critica qui non è rivolta ai nativi, ma all’ipocrisia e alla decadenza di noi occidentali.

Al di là delle false speranze e il rischio di rinunciare ad una terapia efficace valido per tutti i tipi di medicina alternativa, c’è da tenere in conto l’alta tossicità del tabacco che può essere letale nel caso di un dosaggio eccessivo. Ad esempio sono diverse le morti dei viaggiatori imputate all’ayahuasca che invece si devono al mapacho che viene aggiunto alle volte durante la cottura. In genere gli Occidentali non hanno la tolleranza alla nicotina dei nativi ed un eventuale overdose non è indulgente come l’ayahuasca o i funghi allucinogeni.

Inoltre, sebbene il tabacco venga usato presso tutte le popolazioni indigene, diversamente da altre specie amazzoniche, non abbiamo nessun dato concreto sulla reale efficacia e soprattutto sui casi di collaterali e tossicità dei dosaggi medicinali o enteogenici. In questo caso il rischio non è la cancerogenicità a lungo termine, ma l’eventualità di convulsioni e coma in acuto.

Nel caso del rapè, ovvero le varie snuff a base di mapacho in polvere, c’è anche da tenere in conto l’alto rischio di reazioni allergiche dovute alla composizione estremamente variabile e in genere molto complessa (ogni specifico ingrediente vegetale contiene diversi principi attivi, spesso anche sconosciuti), oltre al rischio igienico-sanitario dovuto all’inalazione di una polvere non controllata o sterilizzata.

Una donna Messicana di 40 anni è morta di shock anafilattico dopo che le era stato somministrata grosse quantità di rapè durante il picco di sessione di Bufo alvarius condotta da Ottavio Rettig, un sedicente guaritore ormai denunciato da buona parte della comunità psichedelica mondiale per la sua totale mancanza di etica e competenza.

CANCRO E STATISTICHE, UNA QUESTIONE CULTURALE?

Nel nuovo libro di Jeremy Narby [Narby, Jeremy, and Rafael Chanchari Pizuri. Plant teachers: Ayahuasca, tobacco, and the pursuit of knowledge. New World Library, 2021.], che mi riservo di commentare in separata sede, viene menzionato il “problema” del tabacco, cioè, riportando le parole di Samorini che ha curato la prefazione in Italiano “Il problema riguarda l’incongruenza fra le proprietà visionarie e curative del tabacco per come sono riconosciute ed esperite presso le popolazioni tradizionali amerindie e in particolare dell’Amazzonia, e le proprietà cancerogene e tutt’altro che visionarie del tabacco per come sono riconosciute ed esperite presso le moderne popolazioni di cultura occidentale. ” https://www.samorini.it/…/sam/scritti-minori/sam-narby.pdf

Io non capisco quale sia l’enigma sinceramente: le alterazioni visive ed uditive, gli effetti stimolanti e poi depressivi così come lo stupor tipico della trance sciamanica sono tutti sintomi ben noti delle dosi eccessive (eccessive per la nostra cultura e i nostri standard). Non è la molecola che è diventata addomesticata perdendo la sua psicoattività, a determinate dosi anche la fredda nicotina sintetica induce effetti visionari o allucinogeni che a dir si voglia.

E’ ovvio che sia praticamente impossibile raggiungere questi outcome fumando le sigarette industriali che hanno un contenuto di nicotina ridicolo e sono ricche di altre sostanze sicuramente più velenose come residui di pesticidi ed altri prodotti agricoli, oltre ai numerosi additivi che alterano non soltanto le qualità organolettiche del prodotto ma anche quelle farmacologiche (come riportato dagli stessi produttori ce ne sono oltre 600 diverse).

Se sommiamo questi contaminanti alle diverse modalità d’impiego (utilizzo meno frequente seppur in dosaggi più alti, altre vie di somministrazione come quella orale che escludono proprio i danni polmonari e), e soprattutto alle condizioni ambientali, alimentari ed al diverso stile di vita dei nativi, possiamo spiegare l’enorme differenza nell’incidenza del cancro rispetto a noi occidentali nonostante il consumo di tabacco in comune. Non si parla di un solo fattore di rischio, il cancro è una patologia multifattoriale.

Anche la mortalità prematura influisce drasticamente sul rischio oncologico: mentre nei paesi ricchi tumori, disturbi cardiovascolari e multifattoriali sono le prime cause di morte, nei posti meno sviluppati sono ancora infezioni e malnutrizione a fare la voce grossa. Non c’è neanche il tempo di invecchiare e farsi venire il cancro nella maggior parte dei casi.

Tra i Warao citati da Samorini nella prefazione per esempio la mortalità è altissima e, sebbene non sia sicuramente la causa principale, che è la mancanza di acqua pulita e condizioni igieniche adeguate, l’ingestione di sostanze tossiche e l’arretratezza della medicina locale non giovano sicuramente [Villalba, Julian A., et al. “Low child survival index in a multi-dimensionally poor Amerindian population in Venezuela.” PloS one 8.12 (2013): e85638.].

La convinzione che il tabacco faccia male non è soltanto frutto dell’inconsapevolezza” di noi occidentali, ma segue una ricchissima letteratura tossicologica che non è specifica soltanto per le sigarette. Anche se per precisione bisognerebbe chiarire che è il fumo ad essere connesso al rischio oncologico, non l’ingestione orale o gli altri metodi d’assunzione.

Alle cellule dei polmoni poco frega dell’aspetto rituale o delle intenzioni del consumatore. Inoltre, anche in mancanza di un comparativo diretto, è chiaro che il fumo di tabacco (o anche di mapacho) sia più dannoso ad esempio della cannabis proprio per la presenza della nicotina che ha un’azione ciliotossica e non espettorante come il THC. Ci sono tante altre erbe più sicure da fumare.

Io stesso sono un fumatore da più di 10 anni (uso più che altro le pessime sigarette industriali anche se provo a coltivare un po di tabacco per me ogni tanto), nonostante ciò posso ancora essere competitivo dal punto di vista sportivo e credo di stare meglio di tanta gente che non fuma. Perchè sono un nativo Amazzonico? No, perchè sono responsabile e ho tantissime altre buone abitudini che servono proprio a stemperare questo vizio evidentemente dannoso.

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