Ubulawu: le piante del sogno africane

Per i Bantu del Sud (Nguni, Sotho-Tswana, Venda, Tsonga) il sogno è un ponte che collega i vivi con gli antenati ed è uno strumento integrato nelle pratiche curative tradizionali: quelli gradevoli sono connessi con gli avi, mentre gli incubi vengono inviati dai nemici.
Col nome ubulawu o izilawu si identifica un gruppo di droghe psicotrope, più che altro radici e qualche corteccia e fusto, utilizzate in Sud Africa proprio per stimolare e modulare l’attività onirica.
In queste società ci sono due guaritori distinti, l’erborista e il divinatore, entrambi conoscono queste preparazioni vegetali sebbene il secondo ne abbia una conoscenza particolarmente approfondita.
Gli iniziati alla divinazione devono infatti sottoporsi ad una dieta con le piante ubulawu e a delle pratiche volte a guarirli da una condizione chiamata dai locali intwaso e caratterizzata diversi disturbi ed una notevole attività onirica.
Vengono bevute sotto forma di infuso freddo fino ad indurre il vomito per “purificare” il soggetto ed aiutarlo a ricordare i sogni. Il preparato viene poi agitato con un bastone fino ad ottenere, grazie agli ingredienti ricchi di saponine come la radice di Silene capensis, una schiuma con cui lo lavano (altro simbolo della purificazione interiore). Viene anche consumata a stomaco vuoto in un secondo momento per potenziare i sogni.
Se il preparato non genera della schiuma è segno che non fosse il momento adatto per il rituale o che manchi l’approvazione degli antenati.

Sebbene le combinazioni ubulawu varino molto in base alla tribù, al guaritore ed allo scopo specifico, l’antropologa sudafricana Joan Broster riporta quella di un divinatore, Nombuso, che includeva Rubia petiolaris, Silene capensis, Hippobromus pauciflorus e Dianthus mooiensis. Ma ce ne sono molte altre.
L’etnobotanico francese Jean-Francois Sobiecki, la principale fonte su cui si basa quest’articolo [1] e uno dei principali studiosi della cultura ubulawu, scrive che questa piante hanno tutte un loro effetto psicotropo.
Tuttavia alcuni degli ingredienti potrebbero essere semplici emetici o avere un valore puramente simbolico e rituale. Vediamo quel poco che sappiamo ad oggi sulla farmacologia e la chimica di queste specie.

Dianthus spp.
Il Dianthus mooiensis è una pianta da fiore indigena dell’Alto Veld in Sudafrica, come molte altre Caryophyllaceae anche questa specie ha un buon contenuto di saponine. A eSwatini ci facevano infatti il sapone reale.
La radice viene venduta nei mercati di Johannesburg come portafortuna. Gli uomini di medicina la usano come emetico e per consentire la comunicazione con gli antenati nel sonno. L’infuso viene indicato contro i problemi del petto e le coliche severe, localmente viene applicata per lenire le ferite. Inoltre viene inalata come snuff per migliorare “l’intuizione” ed “aprire la mente a nuove idee”.
La radice di D. albens, un’altra specie sudafricana, viene anch’essa consumata sotto forma d’infuso durante l’iniziazione dei divinatori per indurre sogni connessi con gli spiriti ancestrali o gli animali guida (isilo).
Quella di D. crenatus viene assunta come emetico per potenziare la loro visione e le capacità divinatorie [2].
Non ci sono dati chimici o farmacologici che suggeriscano possa avere potenzialità psicotrope.

Hippobromus pauciflorus
L’Hippobromus pauciflorus è un piccolo albero semi-deciduo che cresce in Sud Africa, eSwatini e la parte più a sud del Mozambico. Appartiene alla famiglia delle Sapindaceae come le famose noci del sapone (Sapindus saponaria e mukorossi) ed è ricco di saponine. La resina presente in tutte le parti della pianta è altamente infiammabile ed aromatica, Hippobromus in Greco antico significa infatti “odore di urina di cavallo
Le foglie vengono impiegate nel Capo Orientale per il trattamento di malaria, dissenteria, diarrea, disturbi psichiatrici e malattie del bestiame. Il succo viene spremuto direttamente negli occhi contro la congiuntivite [3]. Viene menzionato anche come rimedio per influenza, raffreddore, mal di denti, disturbi del sangue, della vescica ed epatici [4].
Gli Zulu preparano degli amuleti d’amore con la radice, la consumano anche contro dissenteria, diarrea, mal di testa e crisi isteriche. I divinatori la usano per entrare in trance, indurre il vomito e sognare gli antenati. La corteccia in polvere viene utilizzata insieme ad altre piante nella preparazione ubulawu [5]. La pianta è ricca di saponine e viene usata anche per detergere il corpo e trattare le irritazioni delle pelle [6].
Il fogliame ha dimostrato effetti antiossidanti, antibatterici, antimicotici, antinfiammatori, antipiretici ed analgesici che si ipotizza siano mediati da un meccanismo centrale (supportando un eventuale effetto psicotropo) [7], anche corteccia e radice hanno mostrato una buona attività su batteri e funghi [8].

Rubia spp.
La Rubia petiolaris è un camefita (un arbusto nano) della famiglia delle Rubiaceae che cresce nei deserti e nelle aree aride della provincie del Capo, Stato libero, KwaZulu-Natal e Lesotho
Nelle provincia del Capo Orientale la foglia della pianta viene utilizzata sotto forma di tisana per curare la tubercolosi [9].
Gli Xhosa usano la radice insieme ad altre piante per indurre i sogni e comunicare con gli antenati. Anche la Rubia cordifolia, una specie asiatica naturalizzata in Africa (Sudan, Somalia, sud dell’Angola, Mozambico e Sud Africa), viene menzionata, sebbene non se ne specifica la parte, come decotto in grado di facilitare la divinazione con le ossa rituali, oltre che come analgesico e colorante [2].
Le specie più nota è la Rubia tinctorum da cui si estrae l’alizarina, un antraquinone rosso che prima dell’avvento dei sostituti sintetici aveva un alto valore di mercato e viene ancora ricercato oggi da pittori ed artisti. Questo pigmento è presente anche in R. petiolaris e cordifolia insieme a rubiadina, xantopurina (altri antraquinoni dal colore rosso) e alla munjistina (che ha una tonalità rosso-arancione) [10].
L’alizarina viene usata come colorante per la quantificazione delle mineralizzazione degli osteoblasti, inoltre ha mostrato potenzialità antitumorali, antiossidanti ed antinfiammatorie [11].
Della rubiadina sono note le proprietà anticancro, osteotrofiche, antinfiammatorie, antidiabetiche, epatoprotettive, neuroprotettive, antiossidanti, antimalariche, antifungine, antimicrobiche ed antivirali [12].
La xantopurpurina è invece un purgane [13].
Il fitocomplesso della R. cordifolia è più noto ma anche qui non ci sono composti che potrebbero suggerire effetti psicotropi, d’altronde viene usata nella Medicina Tradizionale Tibetana per il trattamento dei disturbi del sangue senza menzione di un eventuale azione centrale.

Adenopodia spicata
L’Adenopodia spicata è un cespuglio sempreverde della famiglia delle Fabaceae che cresce nelle foreste che vanno dal Capo Orientale fino a Limpopo. E’ state descritta inizialmente dal botanico tedesco E. Meyer come una Mimosa, poi trasferita al genere Entada, infine inserita nel genere Adenopodia insieme ad altre specie che avevano caratteristiche morfologiche diverse dalle altre Entada.
Gli Zulu fanno un decotto con la corteccia per trattare la pressione alta e i raffreddori [14]. La radice viene usata durante l’iniziazione dei guaritori in Sud Africa, i divinatori la consumano sotto forma di infuso per incontrare in sogno gli antenati. Viene anche indicata nel trattamento di un particolare malore psico-spirituale, lo “spirito” [2].
I fitocostituenti principali della pianta sono saponine, ha dimostrato una potente azione ipotensiva nei test in vitro mediata dall’inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) [15].
Molte piante vicine, come Entada, Piptadenia o anche Anadenanthera spp. hanno tutte un alto potenziale psicotropo, ma dalle analisi è emersa solo la presenza di saponine e flavonoidi senza menzione dei caratteristici alcaloidi triptamminici e betacarbolinici comuni nella altre specie.

Argylobium tomentosum
L’Argyrolobium tomentosum è un cespuglio sempreverde che cresce nella parte meridionale dell’Africa ed in alcuni paesi dell’Africa orientale. I fiori gialli diventano arancioni e poi rossi col passare degli anni.
L’infuso di radice viene consumato dai divinatori come emetico e per acuire la “visione interiore” [2].
Il principale alcaloide delle pianta è l’anagrina, una tossina che agisce come agonista dei recettori muscarinici e nicotinici [16]. Ha una documentata azione teratogena dovuta alla depressione dei movimenti del feto che mantiene una posizione anomala durante la crescita.
I sintomi d’intossicazione nel bestiame comprendono stimolazione nervosa, perdita della coordinazione, crampi, dispnea e morte per arresto respiratorio. Probabile che abbia un certo potenziale allucinogeno come altri alcaloidi che mimano l’acetilcolina.

Boscia albitrunca
La Boscia albitrunca è un piccolo albero sempreverde sudafricano della famiglia del cappero.
La corteccia viene consumata sotto forma di schiuma per “vedere le cose” e permettere agli antenati di parlare attraverso l’intossicato [2]. Localmente si applica contro i morsi di serpente. La radice viene anch’essa impiegata per scopi medici e magici, viene considerata un rimedio nei mal di testa, ipertensione, dolori muscolari, infezioni respiratorie. Con le foglie i locali trattano sifilide, costipazione e diarrea, con l’uso esterno problemi oculari e della pelle.
Diverse parti della pianta sono considerate utili per fermare le crisi epilettiche.
Proprio quest’ultima menzione potrebbe supportare le proprietà allucinogene ipotizzate da Sobiecki, ma non ci sono dati farmacologici o chimici in letteratura scientifica. Sono note solo le sue proprietà antibatteriche ed antifungine [17].

Brachylena discolor
La Brachylaena discolor è un albero cespuglioso sempreverde che cresce nella zona che va dal Capo Orientale al Mozambico.
La radice viene consumata dai divinatori in Sudafrica sotto forma di infuso per comunicare con gli spiriti ancestrali, viene usata anche come rimedio per l’isteria [2]. Gli Zulu fanno dei clisteri con l’infuso della radice per fermare l’emorragia allo stomaco, con le foglie curano parassiti intestinali e dolore al petto. Sono state usate dagli Africani e dai coloni europei per trattare febbre, disturbi renali e diabete.
Anche in questo caso non abbiamo dati chimici o farmacologici sulla radice, il fogliame è stato studiato meglio ma non risultano proprietà psicotrope [18].

Turraea floribunda
La Turraea floribunda è un piccolo albero della famiglia delle Meliaceae che cresce nel Capo Orientale, eSwatini e KwaZulu-Natal. Sviluppa dei fiori di colore verde-giallino molto aromatici soprattutto di notte.
Un preparato a base di corteccia e radice viene impiegato dai guaritori della parte più a Sud dell’Africa per combattere reumatismi, infiammazioni articolari, idropsia e disturbi cardiaci. Viene utilizzata anche per prevenire gli incubi. I divinatori consumano la corteccia e la radice come emetico per entrare nello “stato neurotico” necessario alle danze divinatorie [2].
La pianta è nota per la sua alta tossicità, una specie vicina, T. robusta, ha provocato diverse morti nel bestiame. Altre Turraea spp. si sono dimostrate epato e citotossiche [19].
Non si conosce il fitocomplesso nè il meccanismo tossicologico, dalla corteccia del fusto e della radice sono stati isoltati diversi limonoidi simili a quelli del neem (Azadirachta indica, un’altra meliacea) potenzialmente utili in agricoltura come antiparassitari [20].

Canthium ciliatum
Le radici di Canthium ciliatum, un altro alberello sudafricano, vengono usate come sostituto della Turraea floribunda con le stesse applicazioni in divinazione. In questo caso non abbiamo nessuna informazione chimica o farmacologica [2].

Chamaecrista mimosoides
Chamaecrista mimosoides è un camefita che cresce in Africa, Sud-est asiatico e Nord dell’Australia.
L’infuso a base di radice viene assunto da Zulu e Xhosa per indurre il sonno e ricordare i sogni. I Kung boscimani pare lo usino per entrare in trance. I divinatori ne fanno un emetico per incontrare in sogno gli antenati [2].
Il fitocomplesso della pianta comprende saponine, glicosidi cardiaci, tannini, flavonoidi, terpenoidi, cardenolidi ed antraquinoni. L’estratto etanolico ottenuto dalla pianta intera si è mostrato relativemente sicuro nei test tossicologici (LD50 >5000 mg/kg). Ha dimostrato proprietà anticonvulsivanti sulle cavie animali mediate da un’attività simil-benzodiazepinica che potrebbe inibire il legame della stricnina con il recettore della glicina o potenziare quello del GABA e della glicina [21].
Ciò lascia ipotizzare un eventuale effetto depressivo sul sistema nervoso centrale e supporta le tradizionali applicazioni in medicina e divinazione.

Galium spp.
Il Galium capense è una pianta da fiore endemica del Sudafrica.
Viene usata come infuso ubulawu per curare l’iniziato alla divinazione dallo “malattia dello spirito” (intwaso) e farlo sognare. Un’altra specie vicina, G. mucroniferum var. drageanum, viene decotta e bevuta dai divinatori per permettergli di leggere le ossa divinatorie [2].
Non ci sono dati chimici o farmacologici su queste due specie, ma il più noto G. verum contiene oli essenziali, polisaccaridi, acidi idrossicinnamici, flavonoidi, polifenoli ed iridoidi. Si ipotizza siano quest’ultimi e il flavone ispidulina, che si lega al recettore delle benzodiazepine, a determinare l’effetto sedativo della pianta che ha una lunga tradizione come blando calmante nervoso [22].

Helinus integrifolius
Helinus integrifolius è un liana che cresce nelle zone desertiche in Africa meridionale ed orientale.
I divinatori ne fanno un infuso che viene consumato dagli iniziati per potenziare la memoria e la capacità d’osservazione. Viene anche combinato con le specie Dianthus per comunicare con gli spiriti ancenstrali. Nella medicina Zulu viene indicato come un rimedio per l’isteria.
Le radici vengono pestate in acqua fredda ottenendo un sapone per lavare il corpo e i vestiti, vengono usate anche a scopo rituale per portare fortuna.
Le foglie sono risultate ricche di saponine, un estratto esanico ha inibito l’emissione di gas dei ruminanti migliorando la digeribilità del mangime alla dose più alta [23].
Non ci sono dati che supportano un eventuale effetto psicotropo.

Hyparrhenia filipendula
L’Hyparrhenia filipendula è una pianta erbacea perenne invasiva che cresce nelle zone semiaride di Africa, Papuasia e Australia ed è stata introdotta anche in Sri Lanka, Sud-est asiatico ed Indonesia. Viene usata come foraggio per il bestiame.
L’infuso di radice viene usato dai divinatori in Zimbabwe per “svegliare” gli spiriti [2].
Non ci sono dati chimici o farmacologici su questa specie.

Maesa lanceolata
La Maesa lanceolata è un albero che cresce in Africa meridionale, tropicale e penisola arabica.
Viene usato insieme ad altre piante come preparato ubulawu per facilitare la comunicazione con gli spiriti ancenstrali. La corteccia viene usata come stimolante dai Masai, il fogliame come antimalatico.
Il fitocomplesso comprende saponine triterpeniche, alcaloidi, fenoli, terpenoidi, antraquinoni e tannini. Dal frutto è stata isolata la mesanina, un composto in grado di evocare una reazione di difesa dell’ospite aspecifica proteggendo le cavie da un infezione di Escherichia coli potenziamente letale [24]. Il fogliame ha dimostrato efficaci proprietà antimalariche, antivirali, antibatteriche, antifungine, citotossiche, emolitiche e cardiostimolanti [25]. Sulla radice non ci sono dati farmacologici.

Phyllanthus reticulatus
Il Phyllanthus reticulatus è un cespuglio della famiglia dell’Euphorbiaceae nativo dell’Asia ma molto diffuso in Africa meridionale e tropicale. I fiori hanno una fragranza molto caratteristiche, gli steli pelosi tendono a diventare glabri con il passare del tempo.
In Zambia è stato usato come rimedio per l’anemia e l’emoraggia intestinale, le radici ed il frutto invece come veleno incapacitante e per trattare asma e disturbi infiammatori. Le foglie vengono polverizzate ed applicate su piaghe, bruciature ed ulcere genitali, internamente vengono consumate contro la diarrea. La corteccia è impiegata diuretico.
La corteccia di radice viene usata come infuso emetico per “nascondere i segreti” rivelati ai divinatori oltre che come bagno cerimoniale, mischiata ad altri ingredienti come Balanites maughami viene preparata sotto forma di schiuma ubulawu per migliorare la loro visione.
La pianta contiene tannini, terpenoidi, flavonoidi, camposti fenolici e steroidi e ha dimostrato buone potenzialità come agente antinfiammatorio, antidiabetico, antivirale, antibatterico, antiparassitario, antitumorale ed epatoprotettivo [26]. Non ci sono menzioni di eventuali proprietà psicotrope ma in specie vicina, Phyllantus niruri, sono stati identificati DOM (2,5-dimetossi-4-metilanfetamina), fenitilamina, e derivati potenzialmente in grado di esprimere un effetto psichedelico [27].

Pittosporum viridiflorum
Il Pittosporum viridiflorum è un albero che cresce in Africa subsahariana, Arabia ed India.
Viene usato in Africa nel trattamento di febbre, malaria, tosse, perdita della libido, debolezza, stordimento, cancro, pressione alta, amenorrea, gastrite, indigestione, costipazione, ulcere, dissenteria, parassiti intestinali, disturbi renali, malattie sessualmente trasmissibili, . In Portogallo la pianta intera pestata e ridotta in poltiglia viene applicata su muscoli, tendini e legamenti danneggiati per incoraggiarne la guarigione. L’infuso di radice viene consumato per migliorare l’accuratezza della divinazione. Il decotto viene indicato come sedativo ed analgesico, la corteccia viene considerata tossica assunta in eccesso [2].
Sono note le sue proprietà antimicrobiche, antidiarroiche, antimalariche, antiossidanti, antitumorali ed acaricide, ma non c’è niente su un ipotetica azione centrale [28].

Psoralea pinnata
La Psoralea pinnata è un piccolo alberello sempreverde originario del Sud Africa ma diffuso anche in altri paesi come Australia o Nuova Zelanda
Le radici vengono infuse a freddo insieme a quelle di Helinus integrifolius per ottenere un preparato ubulawu emetico da usare durante l’iniziazione dei divinatori [2]. L’infuso viene consumato contro l’isteria. La radice è stata commercializzata anche nel mondo occidentale come un sostituto della più nota kanna (Sceletium tortuosum), ma al momento non ho avuto modo di testare queste affermazioni e potrebbe essere il solito marketing disonesto.
Non ci sono studi su questa specie, ma un estratto di frutto di Psoralea corylifolia ha inibito potentemente la ricaptazione della dopamina e della noradrenalina. Testato sui topi ha indotto un’effetto stimolante a lungo termine che ha fatto pensare ai ricercatori ad eventuali applicazioni nel campo della dipendenza da cocaina [29].

Rhoicissus tridentata
Rhoicissus tridentata è una pianta cespugliosa rampicante rampicante della famiglia delle Vitaceae che cresce nella parte Sud dell’Africa fino all’equatore ed nel Medio Oriente. In estate produce delle bacche edibili simili a quelle della vite comune. E’ una specie polimorfica ed la sua sistemazione tassonomica è stata più volte revisionata.
Delle parti non specificate vengono usate dai divinatori insieme a Myosotis afropalustris come preparato ubulawu per l’iniziazione dei novizi. I Balobedu lo impiegano contro l’epilessia e i Masai come stimolante nervoso [2]. I Venda consumano la corteccia di radice in polvere con il mabundu, una bevanda tradizionale ottenuta dalla fermentazione di mais, miglio e sorgo, per combattere la disfunzione erettile. Gli Zulu lo considerano un rimedio per i disturbi epatici [30].
Nel suo fitocomplesso sono stati rilevati alcaloidi, flavonoidi, proantiocianidine, acidi organici, saponine e tannini [31]. Non ci sono dati chimici o farmacologici che supportino eventuali proprietà psicotrope al momento.

Sclerocarya birrea
La Sclerocarya birrea, comunemente nota come marula, è un albero delle Anacardiacee che cresce nell’Africa subsahariana e la cui diffusione si ipotizza sia dovuta in parte alle migrazioni dei bantu.
I semi sono ricchi di grassi e proteine e vengono usati per produrre un olio pregiato, i frutti si mangiano freschi o vengono spremuti. Ci fanno anche un infuso che serve come insetticida e analgesico per i morsi di scorpione e serpente. La corteccia viene indicata nella medicina locale come un rimedio per malaria ed indigestione.
La radice vine infusa insieme ai ramoscelli di Loranthus per svegliare gli spiriti nella pratiche di divinazione in Zimbabwe [2].
Non sono segnalati impieghi etnobotanici né dati chimico/tossicologici che supportino eventuali proprietà psicotrope.

Silene sp.
Diverse specie sudafricane del genere Silene sono ricche di saponine triterpeniche e vengono dai divinatori per stimolare il sonno. Con la radice di S. bellidioides fanno un infuso emetico che permette di vedere in sogno gli antenati. S. pilosellifolia viene usata come preparato ubulawu durante l’iniziazione ed induce dei sogni connessi con gli spiriti ancestrali. S. undulata syn. capensis è la più nota di queste specie ed è stata commercializzata anche nel mondo occidentale come oneirogeno. Viene usata anche nella medicina locale contro febbre e delirio [32].
Non c’è ricerca scientifica su questa specie, non conosciamo ancora bene il fitocomplesso nè il meccanismo farmacologico. E’ stata depositata però una patente per un potenziale uso nel trattamento dei sintomi d’astinenza da nicotina.
Si basa soltanto sul report di un soggetto che dice di aver tratto grande beneficio dalla masticazione di un pezzo di radice nei momenti di craving. Il soggetto afferna inoltre che la radice ha anche dissuaso i suoi conoscenti dal consumo di alcolici, la sola offerta di una birra avrebbe evocato in loro della nausea [33].
Manton Hirst, un antropologo sudafricano, consumò 200-250mg di radice in polvere riportando dopo una ventina di minuti effetti visivi simili ai riflessi della luce sull’acqua di un fiume. Il giorno successivo si svegliò di colpo dopo una nottata di sogni vividi e profetici [34].
Più recentemente l’autore e chimico italiano Gianluca Toro ha condotto una serie di test .
Riportò un leggero aumento dell’immaginario mentale con 60mg di polvere assunta prima di dormire. Con 100mg notò piccoli cambiamenti nella percezione della luce dopo 15m dall’assunzione. Con 200mg queste alterazioni visive diventarono più marcate, non riporta un aumento della memoria o ricordi significativi al momento del risveglio [35].
Secondo alcune ipotesi potrebbe anche inibire l’enzima MAO, ma non c’è niente a supporto di ciò.
In base alla mia esperienza e quella di molti altri utenti, agisce soltanto durante il sonno e non induce nessun tipo di alterazione sensoriale durante la veglia. I dosaggi superiori a 2g di radice, comunque a mio avviso inefficaci per un effetto psicotropo anche blando, sono pesantemente lassativi ed emetici.

Synaptolepis spp.
Il nome Synpatolepis deriva dal greco συνάπτω, unito insieme, e λεπίς, brattea, riferendosi al capolino caratteristico di queste piante. Il genere comprende 5 specie: 4 diffuse in Africa e 1 in Madagascar.
Un sistema di radici largo e ramificato permette loro di sopravvivere agli incendi che possono anche incoraggiare la ricrescita stagionale.
Uno studio del 2006 aveva analizzato i campioni provenienti dal Mozambico, precedetemente identificati come Synaptolepis kirkii, dimostrando che appartenessero in realtà alla specie S. oliveriana.
Anche in Sud Africa le piante erano state classificate erroneamente, si è visto che l’habitat del kirkii fosse limitato all’Africa orientale. Cresce nei boschi di miombo (Brachystegia sp.) e nella foresta pluviale lungo le coste Kenya, Somalia e Tanzani compresa l’isola di Zanzibar [36].
La maggior parte della radice sul mercato quindi è molto probabilmente oliveriana identificato erroneamente.
Tuttavia gli stessi Xhosa, la tribù più nota legata alla tradizione ubulawu, vivono nel Capo Orientale in Sudafrica ed utilizzano le piante locali di S. oliveriana, non il kirkii. Ciò suggerisce che sia la prima la specie oneirogena più comune.
Il nostro fornitore è localizzato proprio in questa regione. Ho lasciato comunque il nome kirkii dato che non ho modo nè competenze per verificare personalmente la specie.
L’alto sfruttamento per l’esportazione delle radici e i cambiamenti nell’habitat naturale hanno causato il declino delle popolazioni in Sud Africa del 30%, per questo il Synaptolepis oliveriana è stato inserito nella Red list come Near Threatened (NT). S. kirkii, meno sfruttato commercialmente, è archiviato come Least Concern (LC).

In Africa orientale il decotto di radici di S. kirkii viene impiegato come rimedio per epilessia, ansia o il morso dei serpenti [37].
In Zimbabwe bevono l’infuso come purgante utile contro i parassiti intestinali [38]. Nella regione più ad Est della Tanzania le radici vengono polverizzate e consumate sotto forma di te come afrodisiaco [39].
Nel Kisarawi vengono decorticate e macinate insieme ai semi di ricino quindi bollite in acqua, ne assumono un quarto di tazza due volte al giorno contro le infezioni fungine della pelle [40].
In Kenia vengono masticate per curare il morso dei serpenti [41].
Tra i Karanga in Africa orientale i divinatori utilizzano l’infuso di radice come emetico e detergente per il corpo per vedere “in senso metafisico”. Viene indicato anche a scopo medicinale nel trattamento di isteria ed epilessia [42].

Il fitocomplesso è ricco di terpenoidi tra cui kirkinina, fattore synaptolepis K7, excecariotossina, yuanuadina, 5β-idrossiresiniferonolo-6α, esteri diterpenici dafnanici e 1α-alchildafnanici
Un estratto diclorometanico a base di radici di Synaptolepis kirkii ha mostrato una potente attività neurotrofica nei test sulle culture cellulari. Da questo preparato è stata isolata la kirkinina, un ortoestere dafnanico, che ha promosso la sopravvivenza neuronale in maniera concentrazione-dipendente con una potenza comparabile al fattore di crescita nervoso (NGF). La potenza e la struttura la distinguono dagli altri composti con proprietà NGF-simili precedentemente noti. Si ipotizza agisca attraverso l’attivazione della proteina chinasi C (PCK) [43].
Un altro composto strutturalmente molto simile, il fattore synaptolepis K7 ha dimostrato effetti analoghi potenziando l’espressione dei marker della differenziazione neuronale e la fosforilazione della proteina ERK. Questo secondo meccanismo è mediato da nuove isoforme di PCK che vengono traslocate nella regione perinucleare [44].
Nel fitocomplesso della radice sono presenti anche excoecariatossina, yuanhuadina, 12β-acetossihuratossina dotate di proprietà nootropiche ridotte rispetto ai primi due diterpeni [45].
Inoltre ci sono dati a supporto delle sue potenzialità antinfiammatorie, antinangiogeniche, antitumorali ed antivirali. La pianta è altamente irritante per lo stomaco ed induce potenti effetti emetici già sui 2g di radice: 17 composti isolati hanno mostrato un di agire come irritanti locali con un potenza (I24) che va da 0.05 a 670 nmole-1. 12 di questi hanno anche superato il controllo, simplexina, come promotori tumorali sulla pelle dei topi [46].
Questo dovrebbe spingere alla cautela quando si utilizza questa pianta.
Tuttavia bisogna considerare che gli estratti concentrati e, ancora di più, i fitocostituenti isolati sono molto diversi dal rizoma grezzo o dal decotto tradizionale che si utilizzano a scopo medicinale ed oneirogeno in Africa. Non a caso questi composti erano presenti in concentrazioni inferiori all’1% nell’estratto originale preparato con l’acetato di etile che è già un solvente forte.
In ogni caso le proprietà irritanti spiegano la potente azione emetica della pianta già sui 2-3grammi di rizoma secco, per questo i dosaggi oneirogeni sono solitamente inferiori ad 1g.
Come il Silene capensis anche questa pianta non ha un azione centrale evidente, agisce soltanto durante il sonno. Le due droghe sono molto simili come applicazioni ed effetti.

Oltre alle schiume e gli infusi ubulawu ci sono molte altre piante utilizzate durante la divinazione: snuff come la radice di Alepidea amatymbica, incensi a base di Nicotiana o impepho (Helichrysum spp.), allucinogeni come il Boophane disticha, o anche soltanto simboli, ingredienti per i bagni cerimoniali e per lavare le ossa divinatorie, etc. Per una lista completa si veda [2].

FONTI
1)Sobiecki, Jean-Francois. “Psychoactive ubulawu spiritual medicines and healing dynamics in the initiation process of Southern Bantu diviners.” Journal of Psychoactive drugs 44.3 (2012).

2)Sobiecki, J. F. “A review of plants used in divination in southern Africa and their psychoactive effects.” Southern African Humanities 20.2 (2008).

3)Pendota, S. C., D. S. Grierson, and A. J. Afolayan. “An ethnobotanical study of plants used for the treatment of eye infections in the Eastern Cape Province, South Africa.” Pakistan Journal of Biological Sciences: PJBS 11.16 (2008).

4)Mintsa Mi Nzue, Agnan Pierre. Use and conservation status of medicinal plants in the Cape Peninsula, Western Cape Province of South Africa. Diss. Stellenbosch: University of Stellenbosch, 2009.

5)Sobiecki, J. F. “A review of plants used in divination in southern Africa and their psychoactive effects.” Southern African Humanities 20.2 (2008).

6)Voutquenne, L. “Saponins and hemolytic activity. Saponins and glycosides from five species of Sapindaceae.” Annales Pharmaceutiques Francaises. Vol. 59. No. 6. 2001.

7)Pendota, S. C., et al. “Anti-inflammatory, analgesic and antipyretic activities of the aqueous extract of Hippobromus pauciflorus (Lf) Radlk leaves in male Wistar rats.” African Journal of Biotechnology 8.10 (2009).

8)Pendota, S. C., D. S. Grierson, and A. J. Afolayan. “Antimicrobial activity of Hippobromus pauciflorus: A medicinal plant used for the treatment of eye infections in the Eastern Cape, South Africa.” Pharmaceutical Biology 47.4 (2009).

9)Lawal, I. O., D. S. Grierson, and A. J. Afolayan. “Phytotherapeutic information on plants used for the treatment of tuberculosis in Eastern Cape Province, South Africa.” Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine 2014 (2014).

10)Westendorf, J. “Anthranoid Derivatives—Rubia Species.” Adverse Effects of Herbal Drugs 2. Berlin, Heidelberg: Springer Berlin Heidelberg, 1993.

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